Il caglio

Caglio liquido (credits: ci_polla)

Si parla molto spesso di caglio essendo questo un sito dedicato ad esso, ma che cos’è il caglio? Quali sono le sue caratteristiche? Come si presenta e in che modo interviene nel processo di coagulazione?

Il termine caglio, quaglio deriva dal latino “coagulum” che significa coagulo, latte rappreso, presura.

In generale il caglio, detto anche presame, è un addensante che permette la coagulazione del latte e conferisce specifiche caratteristiche organolettiche ai prodotti caseari.

La sua composizione enzimatica è molto articolata:

  • Chimasi o Chimosina:  è l’enzima specifico della coagulazione che, grazie alla sua elevata attività biologica, permette la scissione della proteina idrofila k-caseina (nel caso del caglio vegetale estratto dal Cynara Cardunculus è la Cinarina a svolgere il compito di coagulante);
  • Pepsina: anch’essa agisce sulla k-caseina e fa sì che, nella coagulazione, vi sia un’intensa attività proteolitica influendo sulle caratteristiche organolettiche del formaggio;
  • Gastricsina: enzima a bassa attività coagulante;
  • Lipasi: proteina che determina le caratteristiche di aromi e profumi del formaggio grazie al suo processo di idrolisi dei grassi;
  • Lisozima: noto soprattutto per la sua funzione antibatterica, ma presente nel caglio in quantità pressoché irrilevanti. (*)
La maggior parte dei formaggi è ottenuta grazie alla coagulazione presamica o enzimatica in cui la chimosina, introdotta nel latte, scinde la struttura molecolare delle caseine che si trovano allo stato SOL, ovvero libere e disperse, ma soprattutto protette dalla k-caseina. In particolare la chimosina attacca la k-caseina idrolizzandone il legame 105-106 e facendole così perdere l’effetto di colloide protettore. A questo punto intervengono gli ioni calcio contenuti nel latte che favoriscono l’avvicinamento delle proteine provvedendo così a formare il coagulo, una sorta di rete capace di trattenere il grasso ed il siero, comunemente definita cagliata. In questa fase il latte passa dalla fase SOL alla fase GEL (così detta per la consistenza gelatinosa) e il coagulo è finalmente pronto per subire i dovuti tagli con cui perderà siero e sarà concentrato grazie ad azioni termiche e meccaniche data la sua poca permeabilità.
La durata della coagulazione varia, in genere, dai 20 ai 40 minuti in quanto influenzata da numerosi fattori come il tempo di presa, la concentrazione del caglio (più il caglio è concentrato più la coagulazione sarà veloce e la cagliata più elastica), la temperatura del latte (superiore ai 15° e inferiore ai 50°), l’acidità del latte, la concentrazione salina del latte e la presenza di ioni calcio.

Cagliata

Il caglio può essere di diversa derivazione:
  • Caglio Animale: generalmente di origine bovina, viene estratto dall’abomaso dei vitelli da cui è ricavata la chimosina. Ad oggi è il più utilizzato nella produzione casearia.
  • Caglio Vegetale: ottenuto con estratti di cardo (Cynara Cardunculus), di fico (Ficus carica), di gallio o Erba Zolfina (Gallium Verum, contenente fitochimasi) o di papaya (Carica Papaya) e pertanto eticamente in linea con il pensiero vegetariano.
  • Caglio Microbico: di origine fungina, viene estratto da muffe come Mucor Miehei o Mucor pusillus ma svolge un’azione proteolitica meno specifica.
  • Coagulante ricombinante: ottenuto, generalmente, da organismi geneticamente modificati da cui è possibile estrarre la chimosina.

Infine la forma fisica del caglio è di tre tipi: liquido, in polvere o in pasta. Il primo viene ottenuto dalla macerazione in salamoia o con acido borico delle pellette (pelli dell’abomaso) essiccate, filtrate e chiarificate. Ne risulta un prodotto purificato, ad elevato potere coagulante la cui stabilità è aumentata dall’aggiunta di conservanti come sodio benzoato o sale.  Il caglio in polvere si ottiene, invece, dall’evaporazione del caglio liquido ed è un prodotto molto concentrato contenente più del 95% di chimosina. Infine il caglio in pasta che svolge un’intensa attività lipolitica grazie ad una consistente presenza di lipasi. Può essere ottenuto mediante la triturazione di abomasi interi, la macinazione fine di abomasi interi o attraverso l’estrazione di enzimi e la conseguente riformulazione in pasta solubile.

 

(*) fonte: manuale “Le forme del latte”, Slow Food Editore

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